giovedì 23 aprile 2015

DONATELLA BARUZZI




I “Fogli” in Porcellana
di Donatella Baruzzi

Presentazione di Stefano Valera

Questi delicati e suggestivi “Fogli” in porcellana - proposti anche nella versione retroilluminata e coperti di segni e geroglifici - rappresentano l’ultima tappa fondamentale nel percorso creativo di Donatella Baruzzi: iniziato con gli “alberi della vita” e proseguito nei totem e nelle più recenti ciotole sferiche, sorta di Graal d’appartamento, pensate per contenere oggetti e alimenti quotidiani in uno “spazio sacro”, che una volta “ricomposto” ridiventa “scultura” verticale per piccoli “living” d’autore.

I “Fogli”, nella loro essenza endoplasmatica e autonoma, sono un richiamo esplicito e irresistibile alla centralità della Natura e delle sue forme: “si illuminano” e “ci illuminano” sul valore di una realizzazione artigianale unica e irripetibile, negli spazi domestici ormai dominati dalla serialità della riproducibilità tecnica industriale. 





1) Lampada “Foglio naturalistico” con  texture a stampo

Materiali: porcellana, base in plexiglas, cablaggio elettrico, Led 650 Lumen (equivalente 50 Watt)
Dimensioni: cm. 40 x cm. 7 x cm. 37

“Radici” di Donatella Baruzzi
  • Date:  31/01/2014
  



"Scritture di luce per illuminare il mondo"








    1993 Labirinti-albero della vita cm.46x28 


     1993 pera incenerita cm.12x7 


2002 colonna totem cm.200x35 


2010 _MANO 27 I_ cm 120x75


2011 Mano arborea cm.40x25 


2012 scritture cm. 40x25 





2013 titolo "Sogno e realtà"
Mostra “Immagini d’Io” La Triennale - Milano

 
2014 titolo "Spiga"
Mostra "Mano e terracotta" - Ridotto del Teatro Masini - Faenza

5 commenti:

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  2. 2002 testo di Flaminio Gualdoni
    Colonna di 2 metri in terra refrattaria di Donatella Baruzzi.

    La colonna di Donatella Baruzzi evoca molte cose, con lucida levità intellettuale.
    È totem e atto fondativo, ma insieme partitura, partitura di una lingua che non può far sorgere alla mente la famosa espressione di Lacan:
    “ un crittogramma assume tutte le sue dimensioni solo quando è quello di una lingua perduta.
    Tanto quanto Glauco (Baruzzi), uomo della sua generazione, ha saputo mediare tra storicità dell’arte – che è ben di più della nozione passiva di tradizione – e valore radicale del moderno, altrettanto Donatella assume modi del fare moderno ma in un fondamentale “à rebours”: a ritrovare, dell’arte, i valori primi, sorgivi, a rimontare con sovrana inattualità a un valore originario.
    Lo stare, in dentro/fuori, il rapporto tra orizzonte e cielo, e soprattutto quella cadenza ordinata di segni, che accelera sino a una dolce collisione.
    Molto senso, immette Donatella, in un atto formale deliberatamente primo, essenziale, preciso.

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  3. 1993 testo di Adriano Antolini (Altamira) per Donatella Baruzzi

    Nonostante abbia già esordito come scultrice, nelle vesti di aiuto del padre Glauco, nell’esecuzione di un grande fregio in terracotta per il paese trentino di Montagnaga di Pinè, Donatella Baruzzi si presenta oggi pubblicamente come “ceramista”.
    Ceramista significa, nell’accezione corrente, un mestiere con una grande tradizione artistica alle spalle sostanzialmente artigianale. Che in realtà moltissimi artigiani meritino a pieno titolo lo statuto di artisti, è un altro discorso. Questo fatto è del resto, oggi, accettato comunemente.
    La ceramica (in rapporto alla scultura) non è magistero minore ma, come l’incisione in rapporto alla pittura, rappresenta forse quel versante di ricerca più alchemico e raffinato che impone a chi la pratica non solo di conoscere un mestiere, ma di evolverlo e raffinarlo di continuo. E non solo nel senso ovvio di un uso sempre sapiente degli strumenti, ma proprio di invenzione continua di accorgimenti e di tecniche. Infatti il ceramista che crea, ha bisogno di ribilanciare continuamente le sue conoscenze non soltanto in rapporto alla sua esperienza passata, ma soprattutto in funzione di quanto sta per fare. Ogni oggetto è un’ipotesi di lavoro, un azzardo, un tentativo rischioso; non soltanto in senso formale, ma anche e soprattutto in senso tecnico. Tutto, lo spessore, il peso, la forma, le dimensioni, la superficie, il colore, assolutamente tutto ha un’incidenza rilevante e non casuale sul risultato.
    Ogni oggetto è in questo senso non solo una creazione formale, ma una grande invenzione tecnica.
    In questo senso il lavoro di Donatella Baruzzi, pur cimentandosi a volte con oggetti che hanno anche una loro funzionalità (contenitori, cornici, etc.) si muove con sicurezza sul piano della plastica, tanto da farci augurare che si muova sempre di più, in futuro, sul piano della scultura in ceramica più che su quello dell’invenzione di oggetti pur belli, curati oltretutto nei minimi dettagli, patinati e rifiniti come autentiche “invenzioni” artistiche.
    Queste creazioni plastiche, comunque, esistono già: da citare ad esempio è il “quarto” di armatura, riprodotta fedelmente e proprio grazie al taglio inconsueto, reso surreale e destinato, per la sua stessa struttura, ad un esame formale e curioso, teso più che a riconoscerla nella sua natura di rappresentazione, ad esplorarla per I lati inattesi che ci rivela: oggetto infatti solo apparentemente noto, quando andiamo a scoprirne le sottosquadre, la complessione interna, così come capita per I gusci delle conchiglie o delle chiocciole.
    Questa maniera labirintica di considerare l’oggetto non tanto per quello che appare all’esterno, ma proprio per gli anfratti insidiosi che può rivelare, è del resto congeniale a Donatella Baruzzi, non solo nelle sue cornici, ed oggetti ad anse che ricordano appunto I classici dedali, ma anche in quella poetica del “frammento” per cui alcuni suoi oggetti, spezzati, interrotti, tagliati, sezionati, in qualche modo rivelano, grazie alla modificazione della loro struttura, lati inattesi, tutti da scoprire.
    Vi sono poi frammenti nel senso più classico del termine: oltre alla già citata armatura, delle robuste lire, dei reperti archeologici in cui riconosciamo resti di frontoni, di decorazioni classiche, restituiti al loro stato di dettagli avulsi da un contesto, e per questo ancora più misteriosi, ed aperti ad ogni interpretazione.
    Queste opere, generalmente modellate, in una generosa terra refrattaria che consente effetti di volume e di ampia resa formale, hanno per il loro stesso aspetto arrotondato e piacevolmente plastico, un contatto franco e cordiale con lo spettatore.
    Il loro colore rosa/bianco, a volte sapientemente patinato, aggiunge un’attrattiva in più a questi blocchi di materia antica che hanno tutta la capacità di sorridere del moderno.

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  4. 1993 testo di Glauco Baruzzi per Donatella Baruzzi

    Da alcuni anni Donatella ha scoperto il magico mondo della ceramica: attività che richiede un impegno di continua ricerca e rischi, carico di “ pathos “, nel quale lei trova con naturalezza le soluzioni a molteplici problemi tecnici, propri di quest’antichissima Arte-Artigianato, che può felicemente unire l’utilità al valore estetico.
    In questa mostra sono presenti questi due aspetti:l’utilità nella quotidianità e la trasposizione nell’area espressiva che per Donatella è vagamente ispirata al surrealismo, vedi l’omaggio a Magritte e le mele imprigionate in involucri trasparenti, i frammenti di “Natura”, le piccole “ Nature Morte” incenerite.

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  5. 2011 testo di Mario Quadraroli
    per Le Mani di Donatella Baruzzi
    Queste brevi note vogliono offrire alcuni spunti per delle riflessioni sul tema della mano ed una possibile chiave di lettura su quelle di Donatella Baruzzi in particolare. Una stretta di mano e via con le riflessioni.
    Come non pensare a mani leggere e alla mano pesante, alle ...mani bianche , mani senza fine. Ma c'è poi la mano che ti benedice, ma che se laccata o pitturata ti seduce, la mano evocata in uno schiaffo, o in una carezza che fa tanta tenerezza. E che dire della mano in un pugno...che disdegno.. Mano nera, Mano morta e una mano di scorta per chi è senza una mano, bè cosa c'è di strano. Mani che applaudono, mani che faticano, mani sporche e Mani pulite, mani con l'artrite.. Basta mi fermo quì e per chiarirmi le idee non posso fare altro che chiedere a lei, a Donatella, cosa significano le sue mani.
    "Queste mie mani - mi racconta la Baruzzi - sono un'icona che include contenuti diversi, il pensiero dell'uomo si concretizza attraverso l'agire della mano: dalla stretta di mano alla scrittura c'è tutta la nostra vita, si vive e ci si trasforma grazie all'uso delle mani, tanto che nel nostro cervello l'area utile al movimento delle mani è più vasta di quella del linguaggio. In questi miei lavori l'icona della mano rimane come cornice significante dell'essere umano, i contenuti sono le eventualità della vita che può essere impegnata, giocosa, sfaccendata."
    Eccole allora alcune delle sue mani: la mano divertente Del cibo e del gioco dello Shanghai; quella Ascetica, arancione come la veste dei monaci tibetani, con l'aggiunta delle texture che testimoniano le difficoltà che l'asceta deve superare; quella a Pelle al microscopio, un ingrandimento della matrice extracellulare della pelle sana, cosa a lei assai cara; la Pagina bianca per chi vuole ripartire da capo e la Mano Arborea, oltre che essere dedicata a chi ha il pollice verde, è strettamente legata a Naturarte percorsi artistici contemporanei nel lodigiano, rassegna che ha visto per la prima volta apparire le mani di Donatella Baruzzi e che quest'anno ha collocato in pianta stabile la Mano dionisiaca, ceramica e midollino avvolti da tralci di vite sui quali matura per davvero l'uva.
    Concludo sottolineando che tutte le opere qui rappresentate sono di ceramica a gran fuoco e porcellana smaltata, on'operazione dunque, quella della Baruzzi, di eccellenza estetica oltre che di valore e di contenuti.

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